L’associazione Walter Piludu alla rassegna “Storie in Trasformazione” del 24 maggio 2019.
“La morte gentile: dal testamento biologico all’eutanasia.”
Cagliari, 24 maggio 2019.
C’eravamo anche noi, c’era Marinella Maucioni, a rappresentare l’associazione Walter Piludu Per Le Libertà nell’incontro che si è svolto il 24 maggio, nel Fuaiè del Teatro Massimo di Cagliari, all’interno di una rassegna di letteratura sociale (“Storie in trasformazione”) dedicata alle vie della gentilezza. E “La morte gentile: dal testamento biologico all’eutanasia”, era il titolo della serata. La morte. Una “storia in trasformazione” che ci riguarda tutti. Come tutti riguarda una buona morte, un trapasso dignitoso, che non aggiunga dolore al dolore.
Già, la buona morte. Ma può essere buona, anzi, gentile, la morte? Su questo argomento – coordinati da Massimo Dadea – si sono confrontati il farmacologo Gianluigi Gessa, Don Ettore Cannavera, fondatore e anima della Comunità La Collina di Serdiana, e Marinella Maucioni.
«La morte è un tema che non possiamo ignorare esorcizzandolo», ha esordito Dadea, sottolineando come su questo argomento si confrontino l’inviolabilità della vita e la dignità della persona. «Due diritti inalienabili, che spesso – nelle cronache degli ultimi tempi – si sono scontrati, suscitando riflessioni importanti e ponendo all’attenzione casi etici, filosofici, religiosi, politici. L’approvazione nel 2017 della legge sul testamento biologico, che sancisce che non si possa effettuare nessun trattamento sanitario senza consenso, ha segnato una svolta. Il prossimo 24 settembre scade il termine individuato dalla Corte Costituzionale nel sollecitare il Parlamento a legiferare sull’eutanasia, e ad integrare il quadro normativo con una legge che risponda alle esigenze di una società matura e libera».
Se il professor Gessa, da scienziato, parlando dei farmaci che provocano la cessazione di ogni attività cerebrale e vegetativa – nei topi come negli uomini – ha affrontato la necessità della “gentilezza”, cioè della loro effettiva efficacia, alla vita come relazione hanno dedicato la loro attenzione Ettore Cannavera e Marinella Maucioni, un sacerdote e una laica.
«Per me la vita è pensiero, condivisione, amore. Ed è un bene di cui siamo unici responsabili». Questa in estrema sintesi la posizione di Cannavera, che per primo, rispondendo all’appello di Walter Piludu e dei suoi amici, accolse nella sua Collina un dibattito sul fine vita. «Oggi siamo dominati da una cultura che nega la morte. Il mio pensiero è che se ho concluso il mio percorso posso morire serenamente. Ma la qualità della vita è fondamentale, perché allungare la vita se non c’è relazione? La vita è un bene affidato alla completa autodeterminazione. L’uomo può confrontarsi con tutte le scienze, le filosofie, le teologie, ma lui e solo lui può decidere». Quanto al conflitto tra legge e coscienza, Don Ettore ha citato Lorenzo Milani, che ha combattuto contro l’obbligatorietà del servizio militare. «Del resto, se non si paga personalmente, le cose non cambiano».
A Marinella Maucioni il compito di ricordare come l’Associazione Walter Piludu sia nata per raccogliere l’eredità morale di Walter, morto (il 3 novembre 2016) per sua scelta, «libera, autonoma, consapevole, informata, meditata e molto voluta». Una scelta resa possibile dal provvedimento del Tribunale di Cagliari, che gli ha riconosciuto il diritto di ottenere il distacco dei dispositivi che lo tenevano artificialmente in vita, in virtù dell’art. 32 della Costituzione che garantisce l’autodeterminazione terapeutica. Ma il provvedimento, ha ricordato Marinella Maucioni, è arrivato dopo due estenuanti anni di battaglia. Un’attesa dolorosa per Walter, ormai costretto a vivere prigioniero di un corpo inerte, col terrore di una paralisi imminente per i suoi occhi, unico suo strumento di comunicazione col mondo (grazie al computer a comandi oculari).
«Io ho avuto la sorte di accompagnarlo in quella battaglia. Quando ho letto il titolo dell’incontro di oggi, “La morte gentile”, ho avuto un sussulto. Io so che la morte non è gentile. Walter anelava alla morte, ma ne aveva paura. Rappresentava però il male minore, rispetto a una vita diventata per lui più orribile del morire». Fosse andato a morire in Svizzera, avrebbe risparmiato quei due anni di angoscia. Ma «Voleva morire nel suo Paese. Sapeva bene che la Costituzione consente di godere della libertà di autodeterminazione terapeutica e quindi ad essa si è appellato, in attesa di una legge specifica e ancora lontana».
Walter a partire dal suo caso personale ha fatto la sua ultima battaglia politica per ottenere che fosse riconosciuto a tutti con una buona legge, il diritto all’autodeterminazione nel fine vita, non solo a chi ha le risorse per andare all’estero o per intraprendere un iter giudiziario come il suo. «Noi, come associazione nata nel suo nome, continuiamo la sua battaglia, impegnandoci a far trionfare questo e altri diritti della persona garantiti dalla Costituzione. Nel dicembre 2017, quando la legge sul testamento biologico è diventata realtà, Walter era già morto. Ma l’associazione Luca Coscioni, che da tanto è attiva sulle questioni del fine vita, ha riconosciuto che la battaglia di Walter è stata decisiva per l’approvazione. E a noi della AWP piace pensare che anche le nostre iniziative abbiano un po’ contribuito a questo traguardo. Ma non dimentichiamo che Walter si batteva per l’eutanasia. Una buona legge per una buona morte, che ancora manca.
“La morte gentile”. E i “diritti gentili”: quelli che fanno riferimento alle idee di alcuni giuristi che teorizzano che il Diritto, la Legge, dovrebbero essere benevoli, compassionevoli, comprensivi nei confronti delle persone fragili e sofferenti. E Walter Piludu questo ha sempre voluto. In una lettera scritta quando ancora riusciva a scrivere con i comandi oculari, si dichiarò fermamente convinto che lo stato laico dovesse legiferare per far prevalere principi pubblici e generali e insieme per individuare percorsi che garantissero a ciascuno il diritto di decidere della propria vita.
Marinella Maucioni ha infine fatto riferimento ad altri diritti, quelli “infelici”, chiamati in causa da Massimo Donini, professore di diritto penale. Il quale, in una relazione del 2015, afferma che se non è reato uccidere una persona cosciente e vigile, iniettandole un sedativo e staccando il respiratore a sua richiesta, non si capisce perché dovrebbe essere punibile iniettare una sostanza “mortale”, su sua richiesta, a una persona che soffre altrettanto, anche se non ci sono dispositivi da staccare.
Cercare una soluzione umanitaria, liberandosi finalmente dei tabù, è l’unica strada possibile. “Alcuni credenti dicono che Dio non dà agli uomini sofferenze che gli uomini non possono sopportare. Ma io mi chiedo fino a che punto può considerarsi atteggiamento cristiano quello di chi impone la sua volontà, sbandierando la sacralità della vita”.
A chiudere l’intervento, e la serata, due citazioni, riportate da Donini e ricordate da Marinella Maucioni. La prima è dal Vangelo di Luca: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
La seconda è del filosofo americano Ronald Dworkin: “Lasciar morire una persona in un modo che altri approvano, ma che essa considera in orribile contraddizione con la sua vita, è una forma di tirannia odiosa e distruttiva”.
Maria Paola Masala