Relazione Michele Pintus -Evento 16 febbraio 2017
Michele Pintus
(relazione svolta all’incontro di presentazione del 16.2.2017)
Ringrazio tutti gli amici dell’associazione per l’onore conferitomi a svolgere alcune considerazioni dal punto di vista medico sulle disposizioni di fine vita e ringrazio il Dr Pisotti che con la sua chiara e brillante relazione mi consente di non dovermi addentrare troppo nell’insidioso campo legale.
Ma veniamo al nostro argomento che , vi confesso, è stato particolarmente gravoso soprattutto per due motivi: il primo perché parlare di un argomento spinto dalla terribile vicenda che ha colpito Walter al quale mi legava un’amicizia nata più di 50 anni fa sui banchi del ginnasio riapre una dolorosa ferita, il secondo motivo perché parliamo di situazioni nelle quali le decisioni che ognuno di noi può prendere derivano dal concetto stesso di vita e quindi noi sappiamo quanto questo sia influenzato dalle nostre credenze religiose, dalla nostra morale in ultima analisi dal nostro stesso essere.
Ma, fatta questa premessa , parliamo più in concreto del ruolo del medico in una tale situazione e delle criticità del suo ruolo. Naturalmente la prima cosa che spetta al medico è una corretta diagnosi. Il sanitario dovrà pertanto certificare al paziente o al suo fiduciario la sua patologia non suscettibile di alcun trattamento né di alcun miglioramento e con una prognosi infausta nell’arco di un tempo ristretto. Credo sia corretto vista la delicatezza dell’argomento che una tale diagnosi venga confermata anche da un’altra equipe medica non in contatto con la prima.
Già a questo punto è doveroso aprire una parentesi. Parliamo di pazienti che in qualche modo vengono “ tenuti in vita” ora la domanda che sorge spontanea è : Che cosa è la vita? Ognuno di noi può a questo punto fornire una risposta differente, entriamo in un campo nel quale la religione , la filosofia ,la morale scendono in campo ma dopo questa prima domanda eccone un’altra alla quale è ancora più difficile rispondere: fino a che punto questa vita vale la pena di essere vissuta? Le risposte saranno ancora più variegate perché ognuno di noi a seconda del nostro modo di essere, di pensare, di credere o non credere in Dio e di rapportarsi con gli altri ha una propria risposta che che riflette il proprio limite insuperabile. Ed è proprio di questo limite di cui parliamo quando ci riferiamo al diritto all’autodeterminazione ed alla possibilità di rifiutare qualunque terapia. Parliamo cioè del limite fra quello che noi intendiamo per vita e la morte, ma non dobbiamo mai dimenticare che anche questo confine viene continuamente spostato in avanti dalle nuove tecnologie. Molti dei pazienti dei quali oggi parliamo fino a non molti anni fa sarebbero morti mentre oggi nuove tecnologie sempre più sofisticate quali autorespiratori e simili consentono di allungare la vita anche per lunghi periodi. Anche il concetto di morte è cambiato. Prima del primo trapianto di cuore eseguito da Barnard nel 1966 l’elettrocardiogramma piatto certificava la morte. Dopo quell’intervento vista la possibilità di fermare il cuore anche per lunghi periodi e di riattivarlo la morte viene certificata dall’EEg piatto : tutto cambia.
Certificata la diagnosi passiamo a parlare del consenso informato o, sarebbe meglio dire, il dissenso informato. Poiché parliamo di volontà espressa dal paziente una prima distinzione va fatta fra quelli in grado di intendere e di volere ed ancora in grado di manifestare in qualche modo la propria volontà e quelli che non essendo più in grado di manifestare la propria volontà hanno lasciato scritto le loro disposizioni di fine vita incaricando un fiduciario perché queste vengano rispettate. Nel primo caso la situazione sembrerebbe più semplice trattandosi di una decisione presa al momento direttamente dal paziente di rifiutare qualunque terapia cosidetta “ salvavita” l’idratazione e la nutrizione e qualunque supporto tecnologico quale respiratori automatici e simili. Ho usato il condizionale perché anche in questi casi pur chiaramente tutelati dall’art. 32 della costituzione l’attuazione pratica delle volontà del paziente trovano mille ostacoli da parte di medici obiettori, asl, e solo ricorrendo al tribunale e trovando un magistrato illuminato il paziente riesce a far valere le sue ragioni. Sarebbe quindi opportuna una legge che vincolasse la asl una volta accertata la volontà irremovibile del paziente a dar seguito a questa senza opporre resistenze di tutti i generi.
Più complessa è la situazione di quei pazienti i quali si trovano in uno stato vegetativo e non hanno quindi alcuna possibilità di manifestare la loro volontà attuale ma
hanno lasciato disposizioni perché qualora si trovassero in quello stato di vita vegetativa nel quale ora si trovano senza alcuna speranza di qualsivoglia miglioramento per il futuro e davanti ad una prognosi sicuramente infausta non vengano sottoposti a tutte quelle terapie salvavita comprese l’idratazione e la nutrizione o l’uso di apparecchiature quali respiratori automatici e simili che consentono solo di allungare l’agonia per periodi più o meno lunghi. Per questi pazienti tuttora non esiste una legge che tuteli il loro diritto all’autodeterminazione. Da molti anni se ne parla ma ogni volta enormi resistenze specialmente dal mondo cattolico ma non solo bloccano l’iter parlamentare. Sempre per quanto riguarda questo aspetto, è importante rilevare che
recenti indagini hanno mostrato che ben 9 pazienti su dieci che si trovano in questa situazione non sono informati sulla loro reale situazione sanitaria né del fatto che la prognosi non superi i tre mesi di vita e vengono quindi sottoposti a trattamenti chemioterapici e ad indagini invasive che possono soltanto peggiorare la loro qualità di vita già drammaticamente colpita . Logicamente nessuno accetterebbe tali trattamenti se ben informato sulla loro totale inutilità. In nome del diritto all’autodeterminazione il paziente invece dovrebbe essere debitamente ed esaurientemente informato dal medico circa la sua patologia, la prognosi l’evoluzione della malattia e le possibili terapie. Edotto delle terapie che si vorrebbero intraprendere , delle indagini diagnostiche che si vorrebbero eseguire e dell’ausilio di strumentazioni tecnologiche che si vorrebbero utilizzare dei possibili risultati, delle complicanze egli in qualunque momento potrebbe rifiutare qualunque cosa non intenda accettare comprese le cosiddette terapie salva vita cioè quelle cure senza le quali sopraggiunge la morte.
Pertanto in nome del principio che ognuno su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente è sovrano( J Mill) il paziente liberamente potrebbe esprimere il proprio assenso o dissenso a qualunque trattamento assumendosene la responsabilità morale e superando quindi la delega al medico o ai familiari o al giudice. E’ sufficiente quanto abbiamo detto per capire quanto sia indispensabile una buona legge che disciplini tale materia evitando per esempio al medico di venire perseguito ,come oggi accade, per una condotta omissiva . Altro punto importante connesso a questo è la possibilità per il paziente di poter comprendere nel proprio rifiuto l’accanimento terapeutico ed anche quello all’alimentazione ed all’idratazione: sappiamo infatti come tali presidi da soli possano allungare l’agonia di un paziente anche per periodi molto lunghi.
Da quanto premesso sembrerebbe contradditorio parlare di consenso informato dato da un paziente non in grado spesso di intendere e di volere, ma è proprio questo il punto che noi vogliamo sottolineare: abbiamo bisogno di una legge che consenta a ognuno di noi di potere esprimere anticipatamente il nostro rifiuto ad essere sottoposti a terapie salva vita se dovessimo trovarci sfortunatamente in una situazione terminale e non fossimo in grado di esprimere la nostra volontà affidando il compito di fare rispettare la nostra volontà ad una persona di nostra fiducia.
Ed infine arriviamo a parlare dell’ultimo punto, sicuramente il più umanamente coinvolgente anche per il medico: la sospensione della terapia e la cessazione dell’utilizzo di tutti quei presidi tecnologici quali respiratori automatici e simili che contribuivano a tenere in vita il paziente. Sospendere le terapia non vuole dire abbandonare il paziente. Egli infatti ha il diritto alle terapie palliative ed alla terapia del dolore così come previsto dalla legge 38 del 2010. Sarà quindi compito del medico rianimatore sia garantire in tali circostanze anche una sedazione profonda onde evitare di infliggere ulteriore sofferenza ad un corpo già martoriato sia in base alla propria umanità non far mancare una parola di conforto ai familiari.
Fatte queste brevi considerazioni permettetemi di proporvi un’immagine:
C’è un mare tempestoso con grandi onde spumeggianti, in mezzo al mare una piccola barca con un passeggero atterrito ed un nocchiero al timone che cerca di raggiungere un porto sicuro.
La barca si chiama “diritti umani “ le onde che cercano di fermarla sono i pregiudizi, il passeggero è il nostro paziente il nocchiero è il medico che cerca di tenere salda la rotta. Ma guardate il viso del nocchiero è bagnato dagli spruzzi e nessuno sa quante gocce siano l’acqua del mare e quante le sue lacrime.